Dayafter

Incontri ravvicinati del terzo Reich

Sapevo che prima o poi sarebbe capitato. Scrivendo di auto che hanno una forte radice storica, doveva accadere. Ma la cosa più sconcertante, è che mai avrei immaginato di dover citare Adolf Hitler, per aver partecipato ad alcuni dei progetti automobilistici che avrebbero cambiato la storia dei motori per sempre.

…voglio vedere una macchina… prodotta in serie che possa essere acquistata da chiunque si possa permettere una motocicletta. Dobbiamo arrivare ad avere un’auto per il popolo”, chiedeva a gran voce il giovane Hitler.

Dobbiamo, “per il popolo”! già sentito? Direi sempre, perché dire “per il popolo” fa figo o, come dico io è “politically cool”. Utilizzare l’automobile come concetto di propaganda sembrava centrare l’obiettivo. Fin qui niente di strano, neanche quando viene chiamato un virtuoso ingegnere austriaco a collaborare con il futuro dittatore, già capo e fondatore del partito nazionalsocialista.

Le idee di Ferdinand Porsche, già applicate alla creazione di motori per aeroplani e trattori industriali, e quelle di Hitler, di sviluppo del settore automobilistico, con la necessità per quest’ultimo di imbonire l’elettorato e le classi meno abbienti – era prima di tutto un politico -, si tramutarono e stimolarono la nascita della prima Volkswagen 1200, la comunemente nota con il nome di Maggiolino.

La vettura (Wagen) del popolo (Volks)

Il primo Maggiolino, nato nel 1934 dal primo fluire di idee tra Ferdinand Porsche e Adolf Hitler (meglio dire diktat del secondo verso il primo, con l’aggiunta, forse, di un romantico per favore), è un’auto funzionale che rispecchia a pieno quelle che erano state le linee guida tracciate in fase di ideazione.

Non senza numerose difficoltà. Facile chiedere, molto meno realizzare un progetto di un’auto compatta, affidabile, semplice da costruire in grande serie ed economicamente accessibile.

Le difficoltà riscontrate da Porsche erano legate in particolare alla richiesta tassativa di realizzare un’auto economica, che non superasse i 7 litri per 100 chilometri. Un po’ come volere la botte piena e la moglie ubr,iaca, ma la richiesta veniva dal Cancelliere. Hitler non solo voleva soddisfare il popolo ma mettere in cattiva luce la Volkswagen stessa, proprio a causa della lentezza nel procedere con il progetto, con l’intento di annetterla al partito nazista, prendendo due piccioni con una fava.

L’anno prima Hitler aveva già iniziato la sua opera di promozione, promettendo di abolire la pesante tassa di circolazione sulle vetture nuove, di semplificare l’ottenimento della patente di guida, e di sostenere le corse automobilistiche, utili a rafforzare l’immagine della Germania nel mondo.

Seppure ci vollero alcuni anni, il Maggiolino vide la luce nel 1938, dopo quattro anni di peripezie e cambiamenti di rotta. L’auto, una volta introdotta sul mercato, ottenne un successo immenso che durerà per sessantacinque anni, diventando l’automobile tedesca più conosciuta al mondo e, senza dubbio, il simbolo della rinascita industriale tedesca nel secondo dopoguerra.

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La prima Porsche

Il rapporto collaborativo tra Ferdinand Porsche e Hitler portò all’ulteriore costruzione di mezzi di chiara impronta bellica, ma, soprattutto, alla nascita di quella che è la protagonista di questo articolo: la prima Porsche.

Tutto questo accadeva nel momento in cui la brama di potere del Führer aveva da tempo preso il sopravvento, offuscandone la mente, e consegnandolo alla storia come il più feroce mandante del XX secolo.

La svolta creativa per l’industria automobilistica tedesca, ci fu nell’anno 1938, quando Adolf Hitler assumeva il comando supremo delle forze armate. Nello stesso periodo, tra l’attuazione di un piano di conquista e l’altro, proprio dittatore sembrerebbe aver richiesto al Dr. Porsche la creazione di una vettura più potente e dalle prestazioni elevate, fornendo egli stesso alcune delle caratteristiche tecniche necessarie.

Forse più o meno consapevolmente sto dicendo che anche una mente machiavellica può contribuire a far nascere qualcosa di buono? Non lo so, dopotutto io sto solo raccontando una storia.

Ferdinand Porsche, insieme con il figlio Ferdinand Porsche (non è un errore, solo una mancanza di fantasia onomastica), conosciuto con il diminutivo di Ferry (che contribuì in modo importante nel progetto, oltre a
rappresentare a tutt’oggi il vero creatore del mito Porsche e del suo marchio scudato), lavorarono assiduamente per non offendere la sensibilità di un datore di lavoro nevrotico e con manie stragiste.
Nasceva così quello che viene considerato il primo modello “di serie” prodotto dalla casa di Stoccarda: la Porsche 356. La 356 fu prodotta sin dall’inizio sia in versione cabrio che coupé, oltre che nella celebre versione Speedster destinata al mercato americano. Le immagini che vedete mostrano come da subito la casa costruttrice avesse una visione ben chiara del futuro.

Il motore Carrera

Agli inizi della produzione veniva utilizzato il motore che era stato configurato per il Maggiolino, ma con il sistema di alimentazione rivisto per la presenza di due carburatori. Mentre, per consentire prestazioni maggiori, furono adottati materiali di qualità sempre crescente, che porteranno il marchio ad assumere nei decenni a seguire un ruolo da protagonista assoluta nel mercato automobilistico. In particolare con la successiva introduzione del famoso motore Carrera, chiamato così in onore della gara automobilistica Carrera Panamericana, più complesso e sofisticato, progettato da Ernst Fuhrmann, presidente della Porsche dal 1972 al 1980, per le versioni più sportive.

Nonostante Ferdinand Porsche si fosse messo in proprio nel 1931, ci sono voluti 17 anni prima di vedere il primo modello della Porsche, il 1948 per l’esattezza. Hitler non riuscì a vederla, a causa della sua morte, avvenuta nel 1945, per via del fato, della nemesi, entrambi?, ma clinicamente per l’effetto di un colpo di pistola che si era sparato dopo aver ingerito una pillola di cianuro, per esser sicuro di non fallire l’obiettivo.

La nascita della 911

L’anno della svolta per la Porsche fu il 1963, quando Ferdinand Porsche, (no, non era immortale. Tanto per cambiare il nome era lo stesso del padre, Ferry e del nonno, Ferdinand Sr., un po’ come la saga della famiglia Buendía in Cent’anni di solitudine), conosciuto come “Butzi”, basandosi sul design pensato dal nonno Ferry, progettò la Porsche 911.

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La 911, compresa la successiva e cattivissima 911 Turbo, rappresenta il vero marchio di fabbrica della casa di Stoccarda. Il giusto compromesso. In equilibrio tra una sportiva per le gare in pista e un’auto da poter sfruttare anche nel quotidiano. Inoltre ha saputo mantenere le sue inconfondibili linee pressoché immutate, nonostante le modernizzazioni attuate per assecondare il cambiamento dei tempi. Così come accade alle opere d’arte immortali, che attraversano le epoche restando sempre attuali, come Guernica di Picasso, come Volare di Modugno, così come la Porsche 911.

Testo di: Gianluca Vittori

Foto: ©Matteo Marinelli – ©Scilla Nascimbene

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