PELLE DI PIETRA – LAND ROVER EXPERIENCE ITALIA –…
Sculture naturali di rocce granitiche modellate dal maestrale ci accolgono al nostro arrivo in Gallura, spuntando dalla macchia mediterranea provata dalla siccità. Muraglie di fichi d’India costeggiano il nastro d’asfalto, in un’orda disordinata di pale, spine e fiori di un giallo denso, come l’aria calda che si respira in questa terra a tratti primordiale, ma dal fascino insistente, nel suo lento scivolare di montagne che si gettano nell’acqua, tra creste nervose di schiuma, avanzando in un mare azzurro mescolato a un turchese che ubriaca lo sguardo.
Dentro a quelle montagne scabre, quasi afgane, irte di nuraghe e pastori ostinati, abita la sostanza di un territorio in parte sconosciuto.
“Nell’aria c’è l’odore del sole, di fuoco puro e di pietra secca. Ma di brughiera anche. E di spoglie di serpi. Odore di Sardegna”.
(Ettore Vittorini. Sardegna come un’infanzia)
LAND ROVER EXPERIENCE – TOUR SARDEGNA. 23 – 28 luglio 2020
PRIMA TAPPA: GOLFO ARANCI – ALÀ DEI SARDI – SU GOLOGONE
È mattina presto quando sbarchiamo dalla pancia della Sardinia Ferries sulle coste frastagliate di Golfo Aranci, il “Gulfu di li Ranci” (Golfo dei Granchi), come lo chiamavano gli antichi cartografi, e i 17 equipaggi del Team Land Rover Experience Italia sono pieni di entusiasmo e adrenalina, pronti per inoltrarsi nel cuore dell’isola.
Un impianto irregolare di muretti a secco imbrigliano la strada, tra avanzi di cortili, recinti e campi incolti, dove possenti corbezzoli hanno piegato i loro fusti per non essere spezzati dalle raffiche di vento. Una vegetazione arsa s’infittisce a tratti, forse per la presenza di vene d’acqua, e vigne basse di Vermentino di Gallura DOCG si alternano a uliveti, tra alberi di mirto, ortiche e more selvatiche e grappoli di fiorellini lilla incastonati nell’ocra polveroso del selciato.
Seguiamo gli sterrati del Campionato Mondiale di Rally. Per chilometri non si scorge né un uomo né un tetto, ma solo il distacco dal mondo, finché un emiciclo di pietre granitiche appare in un spazio montano, sul Monte Limbara, in un paesaggio di una bellezza silenziosa e di una misteriosa verginità, dove panorama si spalanca a ventaglio sulle coste della Corsica e sull’Arcipelago della Maddalena, tra un complicato profilo di boschi di cedri del Libano e piante di erica scoparia.
Un percorso tra pini marittimi sulle pendici di Monte Pino ci immette nel comprensorio di Tempio, noto per la produzione e la lavorazione del sughero, fino ad arrivare al paesino di Berchidda, famoso per il vino Vermentino e un evento di Jazz di risonanza mondiale.
Il sentiero rimbalza dalle pietraie infuocate all’ombra delle sughere, con la loro carne vegetale esposta al vento, circoncisa per estrarre il materiale nella prima parte della corteccia più vicina al suolo, con la storia criptata nei fusti contorti, alla ricerca dei raggi del sole, mentre tintinni di greggi, ammassati sotto l’ombra spessa degli alberi, interrompono il silenzio di questa terra, tra stazzi abbandonati e pecore sparse che brucano tranquille i magri ciuffi di erba secca.
La strada s’inerpica sulla terra bruciata, maculata dalle chiazze verdi del lentisco, in una fornace a cielo aperto, in cui girano pigramente decine di pale eoliche sull’altipiano di Buddusò.
Dopo una sosta per il pranzo in un agriturismo immerso fra alberi di sughero secolari, costeggiamo le rive del Lago Coghinas e arriviamo nel territorio di Alà dei Sardi, il più importante distretto del granito in Sardegna, abitato dall’era neolitica, con quasi venti siti fra torri, villaggi e tombe di Giganti. Foreste di lecci e querce sono il regno di muflone e aquila, mentre vertiginose vallate con ruscelli che formano laghetti e cascate, si aprono tra gli sterrati pianeggianti coperte dalla macchia mediterranea.
La giornata volge al termine. Il convoglio Land Rover è finalmente arrivato in Barbagia e, dopo un elettrizzante guado, gli equipaggi possono rilassarsi nell’incantevole Hotel Su Gologone, nei pressi dell’omonima sorgente, all’interno del territorio di Oliena.
SECONDA TAPPA – SU GOLOGONE – SUPRAMONTE DI ORGOSOLO – PRATOBELLO – SU GOLOGONE
Andare in Barbagia e scoprirla sono due cose diverse.
Qui non esiste il mare, ma panorami di granito e chiazze di macchia mediterranea, che trasmettono a chi li attraversa la sensazione di essere finiti in un luogo sospeso, cristallizzato in un momento preciso del tempo in cui questa terra ha messo dimora stabile, per lasciarsi conquistare solo dall’interesse del viaggiatore rapace di scorci selvaggi, come gli equipaggi del Team Land Rover Experience, partiti di buon mattino dalle sorgenti di Su Gologone per addentrarsi in una Barbagia insolita, arrampicandosi sulle sue groppe arse, protette dalla mole dolomitica del Supramonte, su cui svettano le guglie del Monte Corrasi.
Polvere e pietre si dipanano sotto le ruote, tra sterrate, boschi di lecci e una vegetazione priva di slanci verticali, ma ricchissima di profumi essenziali emanati dalle piante resinose, dal timo e dal rosmarino, abituati a sopravvivere in un ambiente spesso avaro, ma seducente nei suoi colori ruvidi e accesi, che sfumano a volte l’uno nell’altro, in una vibrante cromia.
Raggiungiamo le pendici di Monte Novo San Giovanni.
La valle, lontanissima, sembra una culla gonfia di veli verdi, sopra la quale profili di boschi si stagliano sull’azzurro dell’orizzonte, in un complicato grumo di pixel arborei.
Dopo emozionanti chilometri di off-road, un’improvvisa fioritura di oleandri, agitata da un alito di vento caldo, colora la strada, mischiando il suo profumo a quello delle euforbie, tra speroni di alberi con le unghie piantate sul letto di un torrente, dove caprette e vitelli mansueti, incuriositi dal nostro passaggio, sono lasciati allo stato brado per scegliere le erbe spontanee, dalle cui essenze deriva la bontà dei formaggi sardi.
È giunta l’ora di pranzo e un gruppo di pastori ci aspettano in un agriturismo nella località di Portobello: hanno preparato il maialino arrosto e altre specialità. In Sardegna i piatti tipici traggono le loro origini dall’adattamento e dalla penuria delle materie prime. Il “porceddu”, per esempio, tradizionalmente cotto in una buca sottoterra, nasce dalla necessità di mangiarsi il frutto di un furto senza farsi troppo notare, mentre il pane carasau era uno dei pani secchi che doveva durare a lungo nelle transumanze dei pastori, senza indurirsi né ammuffire.
Seguendo un percorso ad anello, nel pomeriggio giungiamo nel centro di Orgosolo, che si distingue in lontananza come una macchia bianca sfocata dalla calura, mentre cartelli stradali, ridotti a colabrodo dalle pallottole, lasciano perplessi qualunque visitatore si accinga all’ingresso di questo borgo sardo.
Sulle strade poca gente e pochi panni appesi sui suoi vicoli che man mano si assottigliano, fino a diventare carrugi dove, dalle porte lasciate aperte, si intravedono le donne vestite di nero e di viola, tutte pallide come l’avorio, impegnate nel ricamo di scialli di seta e nelle mansioni domestiche.
Ma ciò che non passa inosservato in questo paese sono i murales che ricoprono i muri delle abitazioni e che, dal 1969, cominciarono a parlare con la voce dei colori, dei disegni e della protesta, partita dai pastori barbaricini, i quali diedero vita a una sorta di ammutinamento non violento che continua a rinnovarsi, in un’aurea talvolta realista, ma spesso di stampo cubista e surrealista, intrisa di uno spirito guerrigliero, resistente e caparbio.
Ci rimettiamo in viaggio, costeggiando vitigni di Cannonau di un’esuberanza di verde che contrasta con la secchezza della Barbagia, fino a rientrare in Hotel, per un aperitivo al tramonto presso il Giardino di Tex Willer, famoso personaggio del fumetto italiano ideato dal disegnatore sardo Aurelio Galleppini e ambientato nei paesaggi del Far West, ricreati prendendo spunto dalle rocce carsiche di questa zona.
TERZA TAPPA – SU GOLOGONE – MONTE CORRASI – VALLE DI LAINATHO – DORGALI – OROSEI
Per i sardi la pietra è il principale luogo simbolo della memoria. L’uomo ha lasciato su pietra i segni del suo vissuto sull’isola, sin da epoche antiche. E proprio la pietra è protagonista della mattinata nella terza tappa del tour: quella calcarea – dolomitica del Monte Corrasi, la cima più alta del Supramonte, con i suoi 1463 mslm.
La salita si rivela lunga e impegnativa. Dopo aver oltrepassato foreste di lecci, tra fasci di luci e ombre, ci si trova in un paesaggio lunare. Il sentiero si inerpica sulle rocce: alle spalle un grattacielo di calcare, incappucciato da nuvole dense; dall’altro lato una ripida scarpata, da cui la vista spazia fino alla costa e al Gennargentu. Poi finalmente la vetta, con la sua bellezza silenziosa, habitat di rapaci e specie vegetali endemiche.
Dopo una breve sosta, inizia la discesa, tra adrenalina ed emozioni, che non mancano quando si arriva in un altro posto ricco di suggestione: la Grotta Corbeddu, che prende il nome dal famoso bandito “buono” che rubava ai ricchi, distribuendo la refurtiva ai poveri. Nella grotta, in cui si rifugiava di tanto in tanto, aveva allestito una sorta di tribunale, dove le persone sospettate di reato venivano giudicate soltanto in presenza di prove sicure della loro colpevolezza e su una colata calcarea si vede ancora incisa una bilancia della giustizia con la sua firma. Nelle stesse viscere sotterranee sono stati portati alla luce i resti più antichi dell’homo sapiens in Sardegna. Siamo nella maestosa Valle di Lainatho, nota come la “Valle degli astronauti” per la presenza di numerose grotte, all’interno delle quali gli stessi si addestrano in vista delle future missioni nello spazio.
Scendiamo quindi nella fredda pancia della montagna, inoltrandoci nei suoi cunicoli, dove acque e roccia hanno creato una meraviglia di stallatiti e stalagmiti, in un susseguirsi di gallerie ricche di concrezioni di calcite che trasformano la pietra calcarea in una sorta di istrice dagli aculei di ghiaccio.
Una pausa pranzo sulle coste del lago Cedrino e proseguiamo fino a raggiungere il mare di Dorgali, per poi arrivare nel paese Orosei, posto al centro dell’omonimo golfo. Orosei è una tipica città sarda, il cui pittoresco centro storico custodisce tesori barocchi, 13 chiese e un castello medievale. I suoi vicoli profumano di pane, di dolci tradizionali e di altre delizie e nelle piccole e tradizionali botteghe si possono ammirare i bellissimi prodotti dell’artigianato sardo.
Spiagge meravigliose e solitarie si estendono quasi ai piedi della cittadina, tra piccole insenature e una natura impareggiabile per tutti gli amanti della Sardegna più antentica.
QUARTA TAPPA – OROSEI – MONTE TUTTAVISTA – CAPO COMINO – GOLFO ARANCI
Dalla cima del Monte Tuttavista sembra di vedere mezza Sardegna. Un’enorme statua bronzea del Cristo domina la sua vetta calcarea e ginepri, lentischi e orchidee selvatiche ne colorano le pendici. Siamo nel cuore della Baronìa, in provincia di Nuoro, per la quarta tappa della nostra avventura sarda, e questo è un posto magico per una foto tutti insieme: da qui la vista spazia a 360 gradi e l’azzurro del cielo sembra volerci abbracciare. Un mix di emozioni e si riparte in direzione nord. Dopo un guado sul fiume Cedrino, uno scenario tra enormi massi e altissimi pini ci accompagna fino al mare, con lo smeraldo delle sue acque trasparenti, quasi terapeutiche, e la sabbia candida che ricopre le dune di Capo Comino, tra calette, anfratti e qualche ombrellone solitario. È il nostro ultimo pranzo in questa terra di contrasti, apparentemente brulla e dalla pelle di pietra, ma affettuosa come la sua gente che ci ha fatto sentire ospiti graditi con i suoi generosi modi.
Raggiungiamo il porto a Golfo Aranci e un tramonto di un rosso intenso, quasi pompeiano, accompagna la nostra partenza. Durante la notte, un’incantevole luna piena illumina i baffi di schiuma nell’oscurità del mare. Molti i partecipanti ancora sul ponte, forse per non perdersi nulla di questo bellissimo viaggio.
Ma la prossima avventura è alle porte e gli equipaggi non vedono l’ora di rincontrarsi su nuovi sterrati…
Testo e Foto – Scilla Nascimbene –
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